Un pomeriggio estivo

Era un pomeriggio estivo, caldo, come ci si aspetta. Ma il sole non c’era più. Anzi: aveva già piovuto un po’.

C’era qualcosa di strano nell’aria. Non era l’umidità e il caldo. Non era l’inquinamento sempre presente in quella grande città. Era tutt’altro. Sembrava la fine del mondo.

Sì, proprio questo: sembrava la fine del mondo.

Era un pomeriggio estivo. Bello. Caldo e umido. La luminosità del giorno lasciava spazio per il buio che, pian piano arrivava.

Era come un presagio, un’ombra sulla città ma, allo stesso tempo, tutti seguivano la vita come se non ci fosse niente. Le macchine ferme nel traffico, i pedoni che camminavano in fretta. Nessuno quasi parlava, c’erano solo i rumori di una città troppo affollata. Si vedeva la stanchezza, lo stress, la paura. Ma nessuno vedeva lo spettacolo che sembrava la fine del mondo.

È difficile spiegare com’era il cielo quel giorno: un miscuglio di grigio e arancione, con nuvole basse che sembravano quasi voler toccare i palazzi. Un’atmosfera irreale, come in un sogno che prelude al risveglio. Solo quei pochi che hanno alzato la testa l’hanno visto. Avranno avuto la mia stessa sensazione? Non lo so. Non lo saprò mai.

Era un pomeriggio estivo e sembrava la fine del mondo. Ma non lo era. Siamo ancora qui. Per quanto tempo? Non lo so. Mi chiedo: sapremo mai riconoscere la fine del mondo quando arriverà.

Chi ti ispira?

L’anno scorso ho partecipato ad una sfida di scrittura in italiano: 30 giorni scrivendo dei piccoli testi (uno al giorno) per allenarmi e migliorare la mia scrittura.

Questa è stata una delle cose che mi ha motivato a realizzare un cosa che da tempo pensavo di fare: questa sezione sul Blog. 

Anche se non voglio avere l’obbligo di portare ogni tanto qualcosa qui, mi pareva che da un tempo non scrivevo qualcosa in italiano e volevo riprendere. Intanto ero senza idee.

Ma proprio quando mi sono messa a riprovare, mi sono ricordata della sfida e uno dei testi mi è venuto in testa. Quello che ho deciso di condividere qui oggi.

Ma prima devo ancora fare un’osservazione: probabilmente questo testo mi è venuto in mente perché il giorno in cui ho pensato a tutto questo, era proprio il giorno in cui, sette anni prima, mia nonna era scomparsa. 

Senza dilungarmi troppo, quindi, ecco quello che ho scritto l’anno scorso e che ho già ripetuto anche in portoghese (qui), ma che ora condivido in italiano.

Ah, sì, lo spunto per il testo era la domanda: chi ti ispira

Le persone che mi ispirano sono persone reali cioè gente della mia convivenza, e non persone che conosco solo tramite i media. 

La prima tra queste è mia nonna che anche non essendo più viva sarà (ed è sempre stata) il mio più grande esempio. Una donna colta, indipendente, attiva. 

Era piena di salute, di parole gentili, di conoscenze. Aveva il cuore più grande al mondo ed una forza incredibile. E grazie a lei, oggi posso ispirarmi anche ai miei zii, che portano con sé qualcosa di lei. Direi di più: mia intera famiglia mi ispira, ognuno a modo suo. 

Ho anche la fortuna di essere circondata da amici ammirevoli. Persone che mi ispirano con le sue idee, le sue parole, il suo modo di essere al mondo. 

Infine, ci sono persone che lavorano con delle cose che ammiro e che mi mostrano una nuova forma di vedere queste cose, una nuova forma di dare vita a idee che neanche immaginavo poter avere dentro di me. 

Se dovessi scegliere una persona

In un giorno qualsiasi, un mio collega mi ha fatto una domanda che da parte sua l’aveva domandato una piccola bambina.

Non è una domanda originale, anzi è una di quelle tante che vediamo su internet, da usare per conoscere meglio una persona o semplicemente per iniziare una conversazione un po’ più filosofica.

Sì, in un pomeriggio qualsiasi un mio collega mi ha chiesto con chi passerei quattro ore chiusa dentro un ascensore fuori servizio

Mi è venuta la voglia di scrivere su questo non perché volevo raccontarvi la mia risposta, ma perché pensando a questa domanda una riflessione mi è passata per la mente (e, in più, volevo scrivere qualcosa in italiano).

Il punto è: perché quando ci fanno queste domande, ci viene in mente che dobbiamo rispondere con un nome conosciuto e giustificare la nostra scelta su perché questa personalità e non quell’altra?

Beh, il mio primo pensiero è stato questo. Dovevo — in maniera intelligente — rispondere con un nome conosciuto, anche se non sono una persona che ha grandi idoli. Ma dovevo scegliere, tra nomi più o meno conosciuti, uno. Un cantante? Una scrittrice? Un’attivista? Chi scegliere? Perché?

Dopo la domanda, però, mio collega (che da parte sua ancora non aveva una risposta) mi ha detto un’altra cosa che ha collaborato a questa riflessione: in quattro ore possiamo parlare di molte cose. Quattro ore chiusi dentro un ascensore può essere una quantità molto grande di ore. Tempo abbastanza per scoprire cose che forse non volevamo scoprire.

Così, la scelta dev’essere fatta bene, altrimenti ci annoieremo o ci deluderemo. E come molte persone dicono (persino la protagonista del libro che sto leggendo e che, anche lei, ha contribuito a tutta questa riflessione) è sempre un rischio voler conoscere più a fondo i nostri idoli.

Sì, abbiamo bisogno di persone modelli. Abbiamo bisogno di credere che alcune persone sono incredibili. Ma, in fondo, sappiamo che nessuno è perfetto. E in quattro ore potremmo avere la certezza di questa verità.

Detto tutto ciò, chi scegliere come risposta a una domanda del tipo? Beh, alla fine mi è sembrato un po’ ovvio: se devo passare quattro ore chiusa con una persona qualsiasi, che sia una persona con chi è facile parlare e stare insieme. Una persona che conosco già e con chi sarebbe piacevole parlare per quattro ore di seguito. Sceglierei passare quattro ore chiusa con un(a) grande amico(a).

Sì, questa non è una celebrità o qualcuno che abbia fatto qualcosa che l’abbia trasformato in una persona conosciuta, ma è qualcuno che ha sempre delle parole che mi fanno riflettere, che mi fanno crescere o almeno che mi fanno sentire bene (principalmente in una situazione terribile come questa).

E allora, con chi passeresti quattro ore chiuso(a) in un ascensore?

Tre oggetti senza i quali non vivresti

Tutti i giorni, quando apro WordPress c’è lì una domanda — diversa ogni giorno — per farci riflettere e, soprattutto, ispirarci a scrivere

In uno di questi giorni la domanda era “cita tre oggetti senza i quali non vivresti“. Una domanda che può sembrare banale, ma che per qualche motivo mi è rimasta in testa.

E pensando troppo a queste parole, credo di essere arrivata ad una conclusione, che ho deciso di presentare in questo post.

Sarebbe molto facile dire che uno degli oggetti senza il quale non vivrei è il mio cellulare, ma, sinceramente, in un mondo dove posso avere solo tre oggetti, credo che potrei fare a meno di questo apparecchio.

Un frigo, invece, sarebbe mille volte più utile: abbiamo bisogno di cibo per sopravvivere e poter conservarli più a lungo è stata, non a caso, una meravigliosa scoperta dell’uomo.

Dopo, una cosa che amo e che considero di enorme importanza: il mio letto. Le mie ore di sonno sono sacre. Per poter funzionare bene, ho (abbiamo) bisogno di riposo e questo è ancora meglio quando abbiamo un buon letto per riposarci.

Infine, pensando che posso avere solo tre oggetti, fra tutti, sceglierei il mio Kindle, dentro il quale posso avere tutti i libri che, in questa ipotesi, non potrei scegliere nella loro forma cartacea. 

Con libri, cibo e riposo, non avrei la necessità di nient’altro… Beh, ipoteticamente, ovvio.

E tu, quali sono i tre oggetti senza i quali non vivresti?

Se ti penso, ti amo ancora

(Per leggere ascoltando Incancellabile — Laura Pausini*)


Non so se ho già visto questo titolo da qualche parte, ma comunque sia queste parole spesso mi vengono in mente. Probabilmente perché sono, sfortunatamente, vere.

Ci sono momenti in cui sto vivendo normalmente e per qualche inspiegabile motivo la mia mente forma delle immagini che mi trasportano a te. A noi. A quello che siamo stati. Quello che non siamo stati. E anche quello che potevamo essere stati. E che non lo saremo mai.

Ragionevolmente, doveva essere facile lasciarti alle spalle, sia per il tempo, sia per la forma come tutto è finito, sia perché, pensando adesso, non eravamo fatti uno per l’altro. Non per sempre. E, nei momenti di chiarezza, oggi, riesco a vedere questa realtà. Ma non solo di chiarezza si vive.

Il mio cuore non mi lascia mentire: se ti penso, ti amo ancora. E solo io so quello che sento dentro di me. Non riesco a spiegare a nessuno (tanto è vero che questo testo probabilmente sarà un insieme di parole senza senso, senza nesso).

Amarti ancora mi fa male. Provo un dolore difficile da spiegare. Qualcosa che lascia un gusto amaro nella bocca, che mi fa venire la voglia di piangere. Ma che, alla fine, non piango. Solo seguo. Respiro, provo a mettere un sorriso in faccia e seguo. Lascio queste punti dolenti arrivare fino alla pelle e dopo li lascio andare. O non li lascio. E per questo tornano.

Insomma, sono cose che nessuno vede. Che nessun può sentire al posto mio. E che non so se un giorno spariranno (spero sempre di sì, ma ogni giorno ci credo meno).

Volevo amare di nuovo. Non te, ovviamente (anche perché, come detto, ti amo ancora). Amare completamente ed essere amata. A volte credo di meritare questo, anche se non si tratta di una questione di merito. In altri giorni, però, credo di no. Credo soltanto di non essere stata abbastanza e così, dover seguire da sola questa strada, di aver sprecato la mia opportunità.

Comunque sia, seguo. Un giorno alla volta, come in tanti mi hanno detto di fare. E ci sono giorni in cui è possibile, è quasi facile. Alcuni altri, purtroppo no. Ma seguo. E continuerei a seguire. Forse un giorno tutto questo sarà solo passato. Spero


* Lo so, potevo aver scelto tante altre canzoni italiane per illustrare questo testo (e no, in Brasile non conosciamo soltanto Laura Pausini), ma questa canzone la conosco da bambina e, alla fine, è stata sempre lì. Sempre che ho amato, ch sono stata amata e che sono iniziati e finiti i miei rapporti romantici, la canzone era lì. Una delle prime canzoni italiane che ho imparato a cantare intera, perché l’ho cantata a scuola. Anzi, l’ho cantata nell’epoca più importante della costruzione del mio amore per l’italiano e la cultura italiana. Allora, per oggi no, non poteva essere altra che non questa canzone.

Inizio

Hoje finalmente dou início a um novo espaço aqui no blog.

“Finalmente” porque era algo que eu já tinha tinha vontade de fazer, mas sempre deixava para lá e cujo desejo aumentou com minha participação em um desafio de escrita em italiano que já acabou há mais de um mês (e cujos textos — ao menos alguns — provavelmente aparecerão por aqui).

Textos perdidos será uma coluna em que escreverei textos bem livres, sobre aquilo que povoa minha mente. Mas com um detalhe em especial: os textos serão em italiano. 

A ideia é deixar que algumas palavras que me habitam ganhem vida e, ao mesmo tempo, praticar o meu italiano.

Não haverá tradução. O objetivo aqui não é ser necessariamente compreendida, apenas escrever. Portanto, só este primeiro post será nos dois idiomas. 

Espero que goste e que, quem sabe, este espaço desperte a sua curiosidade para a lingua italiana.


Oggi finalmente apro un nuovo spazio qui nel blog.

“Finalmente” perché questo era qualcosa che avevo la volontà di fare, ma sempre lasciavo per dopo e il cui desiderio è cresciuto con la mia partecipazione in una sfida di scrittura in italiano che è già finita da un mese (e i testi che ho scritto lì — almeno alcuni — probabilmente appariranno qui).

Testi sperduti sarà una rubrica nella quale scriverò dei testi liberi, su quello che c’è nella mia mente. Ma con un dettaglio: i testi saranno in italiano.

L’idea è dare vita alle parole che esistono dentro di me e, allo stesso tempo, praticare il mio italiano.

Non ci sarà la traduzione. L’obbiettivo qui non è essere necessariamente capita, soltanto scrivere. Così, solo questo primo post sarà nelle due lingue. 

Spero che ti piaccia e che, chi lo sa, questo spazio faccia nascere in te una curiosità sulla lingua italiana.